Posted by: dariodemarcomusic | Behind the song 1 commento su BEHIND THE SONG: Sedia vuota
BEHIND THE SONG: Sedia vuota
Immagina di essere sopraffatto dalla più grande delle tue paure. Sei lontano dalla tua famiglia, dai tuoi amici e da tutto quello ti fa sentire a casa, solo con i tuoi pensieri cattivi. L’ansia ti fa sentire assalito da brividi e vampate di calore che non riesci a gestire. Non hai più il controllo del tuo stesso respiro. Ti manca l’aria. Ti senti completamente sfinito. Ti senti morire.
Chi ha mai sofferto di attacchi di panico sa esattamente di cosa sto parlando e, credimi, caro lettore, non riesco mai a trovare parole abbastanza adatte a descrivere uno stato di malessere così forte. Mette i brividi.
Tempo fa ne ho sofferto molto. Oggi, grazie a Dio, sebbene ci siano momenti in cui devo fare i conti con le mie preoccupazioni, resta tutto un lontano ricordo che, per quanto orribile, mi ha perfino arricchito.
Allora mi era difficile parlare con Dio, anche perché immaginavo che Lui non dovesse essere molto fiero di uno che si diceva Suo figlio e allo stesso tempo aveva bisogno di respirare in un sacchetto di carta per non sentirsi soffocare. Non dovevo starGli molto simpatico, figuriamoci se potesse amarmi. Beh, questo era proprio il pensiero che avevo bisogno di coltivare… per stare ancora peggio.
Sai, quello che ti serve quando perdi la ragione al punto di non avere più la giusta percezione della realtà, è qualcuno che ti stia vicino, asciughi le tue lacrime e ti riporti in piedi con pazienza, amore incondizionato e senza giudicarti. Io, in quel periodo, non avevo nessuno. Eppure, in fondo, sapevo che, per quanto Dio potesse essere scontento di me, potevo rivolgermi a Lui.
Non ricordo chi sia stato a raccontarmi di questo modo di pregare o se l’abbia letto da qualche parte in uno dei miei libri cristiani preferiti, comunque in quel periodo mi ronzava in testa l’idea di fare un gesto particolare: mettere una sedia in un punto della stanza e immaginare che vi fosse seduto Gesù.
“Stanza chiusa. Cuore aperto. Sedia vuota in mezzo al vento”. Come canto nel brano, il vento dei miei “perché?” soffiava piano, freddo e lento. Il mio non era un semplice sfogo buttato ai piedi di un pezzo di legno. Non era un frettoloso tentativo di svuotarsi la testa usando l’immaginazione. Non credevo che Dio mi stesse più vicino. Il mio era un modo per forzare me stesso a credere che, nonostante non riuscissi a sentirLo, Dio era lì con me. Mentre sospiravo, pregavo, imploravo, mi arrabbiavo, mi pentivo e piangevo davanti a quella sedia, io, in realtà, mi ero predisposto all’ascolto. Immaginare Gesù seduto di fronte a me non mi aiutava a porre domande, ma a trovare risposte. Mentre Gli chiedevo “perché non posso vederTi?!” io immaginavo quale sarebbe stata l’espressione compassionevole del Suo sguardo. Mentre Gli chiedevo “perché non posso toccarTi?!” io immaginavo le Sue braccia stringermi. Mentre Gli chiedevo “perché hai permesso questi attacchi di panico?” io Lo immaginavo rispondere “perché adesso, finalmente, ti accorgi che sono qui con te e non ti ho mai lasciato”.
Quella volta io ho scoperto che non riuscivo a immaginare un Dio distaccato e cattivo. Più guardavo quella sedia domandandomi che aspetto avrebbe avuto Gesù e cosa avrebbe detto e fatto, più scoprivo che il mio cuore, in fondo, aveva delle certezze.
Caro lettore, chiamalo un gesto folle, disperato, e magari anche un po’ ridicolo, se vuoi. Per me non fu un trucchetto per prendere in giro le mie sensazioni o una sorta di psicoanalisi auto-indotta. Fu un modo per mettere un freno al tumulto che avevo in testa. Per fermarmi. E chiedermi qual è l’idea che ho di Dio.
Caro lettore, quando ti senti in mille pezzi, solo e senza risposte, non prendere una sedia, ma fai a te stesso una semplice domanda: “in quale Dio scelgo di credere?”. Sono sicuro, che nonostante i dubbi e le domande irrisolte che tutti dobbiamo affrontare, scoprirai che una parte di te sa di poter credere in un Dio che è amore.
Non permetto quasi mai a nessuno di arrangiare i miei brani, soprattutto se si tratta di creazioni così intime, ma questa volta mi sono affidato a un amico speciale. Regin Guttesen è una di quelle persone che hanno lasciato un segno nella mia vita, saltando fuori nel momento giusto, quando, deluso da alcune vicende che hanno scosso le mie certezze, stavo iniziando a perdere fiducia negli altri. È un missionario faroese, venuto dalla “terra che non esiste” alla “regione che non esiste”, che considero un’autentica luce nel mio amato Molise. Il suo enorme talento e la sua sensibilità hanno dato al brano quella veste così delicata e discreta che tanto si addice alla descrizione di un momento di intimità con Dio.
1 commento
Michele 9 Ottobre 2021 at 6:14 am
Quali parole utilizzare per descrivere tutto ciò? Nessuna, semplicemente nessuna, risulterebbero tutte inadatte. Spesso canticchiamo, condividiamo musica e brani senza neanche sapere ciò che ha spinto l’autore a scriverlo, sembra tutto così facile. Sei di benedizione caro Dario, Dio ti benedica